25 luglio 2011

Gli Eroi Perversi di una cultura senza Padre e senza Eroi




La strage compiuta in Norvegia dal giovane -o quasi giovane (meglio precisarlo, dato che ormai si è giovani anche a cinquantacinque anni)- Anders Breivik, trentaduenne esaltato e psicopatico, lascia attoniti e sconvolti per una quantità impressionante di motivi.
In primo luogo, per le dimensioni del massacro: settantasei morti, cadavere più, cadavere meno.

In secondo luogo, per la terribile determinazione con cui il massacratore ha agito: inseguendo uno per uno quei poveri ragazzi, e sterminandoli anche se imploravano pietà. Sembra che solo uno è riuscito a salvarsi, implorandolo pervicacemente: ma non si sa bene se Anders lo ha accontentato o, solamente, si è distratto cercando altre prede.

In terzo luogo, perché tutto questo è avvenuto nella civilissima e ricchissima Norvegia, paese nel quale lo stato assiste i propri cittadini dalla nascita alla morte con una solerzia e una capacità degna della miglior socialdemocrazia nordeuropea possibile, creando attorno a ciascuno un mondo di certezze, e garanzie, soavemente diffuse, nitide e rispettanti, nel quale tutto ci si può aspettare, ma non che un trentaduenne biondo, occhi chiari e sguardo da spot pubblicitario per crociere nei fiordi e salmoni appena pescati, imbracci il mitra e invece che a portarti a prendere il numero dell'assistenza sociale, massacri decine e decine di persone, sicuramente con la stessa scrupolosità con cui qualche suo coetaneo elenca ai nuovi residenti a cosa hanno diritto insieme alla residenza in Norvegia.

Altro punto ancora di stupore, è nel fatto che la Polizia locale -grazie appunto alla civilissima società di cui è nitida espressione- era del tutto impreparata a gestire tragedie simili, col risultato che il biondino ha scorrazzato su e giù per il teatro del suo scempio, come e quanto ha voluto.
Nel frattempo, solo alcune barchette a remi, trainate da semplici turisti o cittadini, cercavano di mettere in salvo chi potevano, e così, invece che aringhe e merluzzi, pescavano sopravvissuti adolescenti, e tremanti, e angosce terribili, e terribilmente annidate in quei fondi freddi e silenziosi che sanno di creature di mondi altri e primordiali.

Infine, ma non sappiamo se l'elenco deve davvero chiudersi qui e se i luoghi dello stupefarsi siano davvero esauriti, l'altro motivo di stupore è nello scoprire che tutto era premeditato da anni, ma anche che era tutto sotto gli occhi di tutti: e dunque che tutto quanto si potesse -e si dovesse- sapere per prevedere e impedire l'accaduto, era sotto gli occhi di tutti, ben postato e ben impostato su Internet.
Il che implica che tutti questi contenuti sono stati, evidentemente, considerati "normali" da tutti. Normali, però, forse solo perché normalmente etichettabili: con l'etichetta di “roba di estrema destra”. Roba di intolleranza, dunque, di fanatismo: roba da non prendere in considerazione.
Il che implica, ovviamente (o meglio: se ci si ragiona) che l'etichettatura politica ha avuto la grande funzione di far ignorare la violenza che covava nel "messaggio".

A strage fatta, molte voci si sono levate.

C'è chi ha cercato la trama oscura, e il complice del folle – complice che magari c'è davvero, ma non crediamo sia così importante scoprirlo, se non ai fini di giustizia del caso singolo e forse di qualche possibile clone del biondino; c'è poi chi ha puntato il dito sulla idiozia del male in quanto agito politico; c'è chi ha esecrato e maledetto il razzismo del gesto e la matrice ideologica di destra, c'è chi ha detto che la colpa è dell'Islam, e chi, invece, che “Gridare invece al complotto neonazista alimenta la guerra contro il nuovo mostro interno che inquieta l’Europa.” (Pierluigi Battista, sul Corsera).
C'è poi chi ha sostenuto che “in un primo tempo quando la pista islamica sembrava avvalorata, tutti ci sentivamo come rincuorati” come ha detto Magdi Cristiano Allam, che parla di "razzisti nati dal multiculturalismo" e conclude che “Se vogliamo sconfiggere questo razzismo dobbiamo porre fine al multiculturalismo.”.
C'è poi chi, come un capo carismatico qual fu Adriano Sofri (e che forse ai suoi tempi non si negava all'applauso per le sue gesta "contro"), ha detto (curiosamente? O transferalmente?) che "Breivik, autore di una premeditazione delle più lunghe e ripugnanti - vivere anni nell'aspettativa e nella preparazione scrupolosa di una strage di innocenti - ha preteso di allestire anche l'interpretazione autentica di sé e del proprio gesto, con la firma d'autore. Di indurre gli altri, le persone "normali" attonite al punto di cercare una spiegazione a ciò cui non deve andare che orrore e disprezzo, a cercarla nell'esegesi dei suoi scritti preventivi, e dei discorsi che ancora si dispone a fare, dal momento che ha voluto uscire vivo dal suo gran giorno."

Ci sembra però che da tutto questo -da questa tragedia orribile e dai relativi commenti- esali un paradosso, terribile e agghiacciante nella mia lettura, per la quale tutti questi commenti fanno in qualche modo parte del problema.

Tutti i commenti letti danno per scontato che quello del biondino sia stato un atto di follia, ma nessuno - però - va poi a tentare una lettura veramente psichiatrica, e psicologica, di questa follia.
E' paradossale, insomma, dare dal matto ad uno che -ad esempio- si creda Napoleone, e poi discuterne politicamente il suo voler conquistare l'Europa.
Questa si chiama, in linguaggio psichiatrico e psicoterapico, collusione con il malato.
Tutti quelli che si stanno occupando della tragedia norvegese, stanno però puntando la propria attenzione esclusivamente sulla dimensione "ideologica" del crimine, su quella “politica” e/o su quella sociologica, e nessuno, invece, si apre a una riflessione psichiatrica e psicologica su questo "ragazzo", sui suoi "agiti", sulle profondità da cui emergono.

La psicopatia di Breivik viene liquidata da tutti come follia, come ovvio.
Ma -insomma- questa follia viene poi paradossalmente analizzata come se fosse una valida idea politica o il valido dispiegarsi di ideologie che, per quanto folli, devono esser discusse nelle loro radici sociologiche e politiche. Attraverso mondi lontanissimi dunque -e alieni, si potrebbe proprio dire- dalla follia.
Il che implica allora che -con la "scusa" dell'analisi socio-politica- si sta continuando a coprire qualcosa di pericoloso.

Nessuno -e a mio avviso questo è per l'appunto estremamente significativo- affronta cioè il problema dal suo versante più naturale: quello psichiatrico, cui può seguire lo sguardo -forse più angosciante- legato alla lettura con la lente della psicologia del profondo.
A mio avviso, dunque, c'è la tendenza a rimuovere una lettura psicologica profonda di questo e degli altri eventi simili, che negli ultimi anni sono sicuramente aumentati.
Perché secondo me, il punto da cui iniziare la vivisezione di questa tragedia, è un altro. Più inquietante della rassicurante spiegazione-esecrazione politico-ideologica.

Stupisce, insomma, che nessuno prenda in considerazione quale possa essere la matrice psichica di una follia del genere, soprattutto considerando che tutti -nessuno escluso- inquadrano la mostruosità di Anders Breivik come un atto folle.

E questa rimozione è, innanzitutto, funzionale a non percepire l'angoscia che un simile evento può creare, se si smette di considerarlo solo per le sue implicazioni politiche e lo si considera come atto umano.
Poi, c'è da ipotizzare se anche questa rimozione non faccia parte di ciò che genera tali follie.

E la personale lettura di questa vicenda è proprio questa: la gente ha paura di approfondire una chiave di lettura psicologica di un evento del genere, perché non vuole andare a scoprire quello che già sa essere alla base.

Non è la prima volta che mostri simili a Anders Breivik emergono dagli abissi dell'anonimato e di società in qualche modo perfette e organizzate.
I precedenti sono negli USA, ovviamente, ma anche in Francia e in altri paesi.

La lettura che qui vogliamo dare della strage compiuta da Anders Breivik -come delle altre- è una lettura classicamente legata alla psicologia del profondo, soprattutto a quella di matrice junghiana.

Per quanto mi riguarda, ritengo che esplosioni simili di follia -che ormai non raramente balzano agli oneri della cronaca, vadano lette esattamente come Jung -beccandosi poi l'accusa, atroce e idiota insieme, di essere lui un “nazista”- lesse appunto il nazismo. Dottrina folle che lui inquadrò come l'esplodere degli aspetti negativi di un archetipo -quello di Wotan- che dormiva ignorato e misconosciuto nella coscienza germanica.

Stragi del genere, invece, evocano altre presenze archetipiche, di cui la nostra cultura ha rimosso in gran parte segni e presenze.

Uno di questi temi archetipici è quello dell'Eroe, che agisce isolatamente e contro la massa, per affermare la propria individulità.

Nella nostra cultura il tema dell'Eroe è ormai un tema negativo, e tutti gli eroi hanno ormai, invece, caratteristiche di anti-eroi.

Non devono combattere veramente, non con rabbia e ardore, devono essere animati da mitezza e ragionevolezza, mostrarsi tolleranti, “soft”, e morbidi.

Devono essere eroi “rosa” e al femminile, insomma, e non rossi e virili.
Eroi per i quali non è più un valore scagliarsi contro qualcosa e per qualcuno, o qualcosa, e soprattutto contro stereotipi e banalità del pensiero comune.

Questo è un mondo nel quale è obbligatorio essere tutti corretti, credere tutti negli stessi valori di fondo (sostanzialmente areligiosi) e, soprattutto, esser tutti “politically correct”.

Non esistono più la diversità, la specificità, l'identità: che trovano un loro esistere solo nel possesso di oggetti e status.

Tutto questo, prima o poi, genera mostri, a mio avviso. Genera Eroi Perversi e spaventosi.
L'altro tema archetipico ignorato dalla nostra cultura è il Padre.

Il Padre è scomparso, dalla nostra società, ed è relegato fra gli oggetti inutili.


Non è un caso che il tragico Anders Breivik fosse un fondamentalista “cristiano” (a suo modo di vedere), e che vestisse i panni di chi opera per conto del “Padre”, e in divisa, contro l'invasione della moltitudine perversa.
Si era fatto fotografare in divisa da assaltatore subacqueo, armato di tutto punto, e tutto il suo modus operandi è stato riconducibile all'agire di un eroe solitario (solitario e, in questo caso, perverso), che -a vari livelli- lotta da solo contro la moltitudine straripante.

Non soltanto ha fatto tutto da solo, come un vero Eroe (dal manuale on-line, al confezionamento degli esplosivi, alla strage, dove ha seguito le orme di un Cavaliere Folle e Solo) ma lo ha pensato e fatto sempre contro una moltitudine cui opporsi, tratto tipico dell'Archetipo dell'Eroe.
Online, ha lasciato testimoniato quale fosse la turpe moltitudine da combattere (l'Islam, e tutti i profeti dell'Eurabia e della morte del patriarcato e del primato europeo). Poi, nella realtà (nella “sua” realtà), è scendendo nell'isola di Utøya per accanirsi contro una massa.
Masse da sterminare: virtuali prima, e inermi dopo, in realtà.
Virtuali prima, e inermi dopo, perché, lui incarna -direbbe Jung- la polarità oscura e negativa dell'Eroe.

E non è nemmeno un caso che Anders Breivik sia nato in Norvegia, vale a dire in una delle più grandi perfette e ricche socialdemocrazie nordiche, nelle quali uno stato-madre pensa a tutto, e fin dalla nascita ti garantisce da ogni ansia e preoccupazione. Al punto che, fatto emblematico, uno non deve nemmeno preoccuparsi se, ammazzando un centinaio di persone, finisce in galera. Non rischia nemmeno trenta anni di galera.

E non è nemmeno un caso -nella mia lettura, che so potrebbe scandalizzare molti, e rendermi oggetto di accuse assurde (la prima delle quali, in questi casi, è che si è d'accordo con l'operato del mostro!) che non è nemmeno un caso, ripeto, che Anders Breivik non avesse mai vissuto con il proprio padre, il quale ha divorziato dalla madre del mostro appena questi è nato.

E, soprattutto, che Anders Breivik ed il padre non hanno mai vissuto insieme, e hanno avuto solo qualche contatto quando lui era bambino. Ma fino al 1995.
I fatherless, si sa, sono in cima alle statistiche per eventi criminali, oltre che per problemi psichiatrici e per disagi psichici. E in Norvegia, paese di pescatori che stanno lontani dalle famiglie per mesi e mesi, i padri da sempre hanno poca incisività nella vita dei figli.

A mio avviso, tutto questo porta a concludere -o almeno ad ipotizzare- che in questo momento siamo in presenza di un potenziale archetipico distruttivo spaventoso, perché la nostra cultura ha rimosso temi e presenze fondamentali: il Padre, l'Eroe, il bisogno di autonomia, indipendenza, differenza.
Il folle manifesto di Breivik, quello di milleettante pagine messe online, è, di fatto (e sarebbe un errore non accorgersene, come è una follia non accorgersene anche in casi simili), tutto un inno -patologico e deviato- alla difesa dell'identità, della differenza, della patriarcalità. Un inno accompagnato, nella vita quotidiana -e non è certo un caso- dalle note dionisiache e maniacali che legano le ossessioni di un folle ai suoi desideri di baccanali con prostitute e vini rossi, come appunto ha lasciato scritto nelle sue milleettante pagine online.
Pagine che grondano follie, ma follie imperniate su un solo punto: la difesa della identità e della diversità, e delle dimensioni di fede ed eroismi.
E' terribilmente imperativo chiedersi perché tutto questo sta risorgendo in forme così drastiche, paranoidi, omicidiarie.

Perché in quelle pagine -come nelle pagine dei gruppi e gruppetti che predicano e sbandierano idee simili (“idee condivisibili”, ha detto un parlamentare italiano: si spera distinguendo le idee dalla modalità di propagarle)- vi è tutto un dispiegarsi patologico e straripante, insomma, di temi che la nostra cultura e la nostra società, ha tragicamente rimosso da decenni, soffocandoli nelle nuvole rosa del politically correct, del dover essere, degli stereotipi di valori appiattiti su tutti.

Se non mi sbaglio, ci saranno altri ultra-integralisti votati al Padre e all'Eroe, al Dionisiaco e all'intransigenza sanguinaria, vissuti senza Padri e senza eroi, che tenteranno altre stragi.

Dal mio punto di vista, questo ha già una sua pericolosa dimostrazione nell'espandersi di gruppi di “credenti” pagani e legati all'ultradestra e alle ideologie razziste.

Nel mondo del politically correct ad oltranza, mi aspetto dunque che questa mia lettura venga accusata, quanto meno di essere stupida e cieca, perché non conforme alle evidenze sociologiche e politiche prospettate dai più.

In un mondo dominato dallo stereotipo e dalla omologazione al “rosa”, al corretto, al soffice e maternamente infantile, il rischio terribile è che risorgano Dei ed Eroi Perversi.

G. Giordano
Medico-Chirurgo
Psicoterapeuta

Per le statistiche del "fatherless", vedi qui sotto

24 luglio 2011

"I padri valgono meno?" Firmato: Corriere della Sera


I padri valgono meno?

Se lo chiede Pierluigi Panza sul Corriere della Sera del 22 luglio 2011, in un articolo nel quale affronta da una prospettiva tanto insolita quanto coraggiosa la tragedia di Melania Rea. Partendo da una citazione.

Sono passati più di settanta anni da quando de Rougemont, filosofo francese, scrisse (in: “L’amore e l’Occidente”) che, nella società di allora, “il matrimonio e l’amore-passione divergevano e il secondo, per sopravvivere, doveva trasgredire le regole e consegnarsi alla morte.

Adesso, un uomo che precipita l’amore folle è ritenuto una malattia da curare, quando non è una molla irrefrenabile verso il crimine.

Altre volte -però- lo relega nell’emarginazione e nel bando dalla società.

E qui lo scritto di Panza inventa un volo che sino ad ora pochi (se non nessuno) hanno avuto il coraggio di tentare.

Sono 32 mila” scrive Panza “i padri italiani separati tra i nuovi poveri, l’ 89%dei padri separati subisce minacce o azioni finalizzate a non far vedere i figli e il 67%subisce molestie finalizzate a provocare reazioni durante la convivenza. Quanto sarebbe utile una non conformista riflessione femminile per una nuova consapevolezza in queste situazioni?

E’ vero.

Quanto sarebbe utile una riflessione vera?

E’ proprio impossibile -cioè- una riflessione non banale, non violenta, non stereotipata, non (diciamolo francamente) non razzista, su queste cifre di una nuova emarginazione?

Nell’ultimo battere di ciglia l’homo-sapiens ha superato questa condizione vietando la bigamia (nelle società cristiane e occidentali)” continua Panza. 

E poi prosegue: Ma i geni non hanno cancellato 200 milioni di anni. Quanto sarebbe utile un intervento di una biologa non conformista per spiegare ai giovani le difficoltà della costruzione culturale della monogamia in un mammifero evolutivamente poligamo? Infine, non c’è alcuna libera giurista che riesca a tematizzare perché è stata scarcerata Stefania Citterio, condannata per l’omicidio del tassista Luca Massari, in quanto madre con figlio di età inferiore ai 3 anni, ed invece può essere arrestato un padre di una bambina con meno di 3 anni (senza madre) prima del processo?

Ed è qui la domanda centrale, quella che andrebbe rivolta a magistrati e carcerieri.

I padri valgono meno?” si chiede -finalmente!- il Corriere della Sera attraverso Panza.

Perché il problema adesso esce dalla metafora e dalla teoria, e si annoda lungo il futuro di due bambine.

Facciamolo dire al coraggioso articolo del Corsera, qual è allora il punto concreto:
Se il processo [contro Parolisi, N.d.R.] non riuscisse ad arrivare alla condanna (vedi il caso di Garlasco), chi andrà a spiegare alla piccola Parolisi che suo padre è stato arrestato «ingiustamente» mentre la piccola Citterio aveva sua madre a casa pur essendo (per i giudici) un’assassina?

Già: chi lo spiega a queste due bambine che meritavano vite differenti perché in un caso l’omicida era madre e nell’altra era padre?
Si faranno loro la stessa domanda: i padri valgono meno?
E cosa si risponderanno?


Gaetano Giordano

22 luglio 2011

Il caporale Parolisi ed il suo "imbuto": chi lo ha fabbricato?


Cominciamo subito con una premessa che vuole indicare la chiave di lettura di questo intervento. E, soprattutto, che vuole delegittimarne da subito altre.

Quello che stiamo scrivendo non implica in alcun modo, e sottolineiamo in alcun modo, una deresponsabilizzazione personale, o giudiziaria, dell'eventuale responsabile della tragedia della povera Melania Rea, trucidata in maniera agghiacciante.

Al momento, secondo la procura di Ascoli Piceno, gravi indizi di colpevolezza (tanto gravi al punto da richiedere la custodia cautelare) si addensano sul marito della povera vittima, il caporale Salvatore Parolisi.

Questo articolo -lo ripetiamo- non nasce dunque per limitare in alcun modo la sua eventuale responsabilità personale e giudiziaria, qualora -dopo tre gradi di giudizio, ma certo non dopo qualche semplice trasmissione televisiva o svisceramento massmediatico che dir si voglia- la magistratura ne ravvisasse la colpevolezza.

Dal nostro punto di vista, però, non possiamo non chiederci qual è stato, in tutta questa drammatica e disperata vicenda, il peso avuto dai problemi legati alla soluzione giudiziaria che sarebbe stata data alla separazione del caporale e della moglie.

Basta leggere, al proposito, tre dei messaggi che la coppia Parolisi-Ludovica si sono scambiati su Facebook (evidenziazione nostra):


LUDOVICA 2011-03-10 22:29:04 UTC
...TI PENSO SEMPRE..VOGLIO LA MIA VITA CON TE..MA LA VOGLIO FATTA PER BENE...SENZA PI- DOVERSI NASCONDERE..TI IMMAGINO CON ME SEMPRE..SPERO CHE TU RIESCA A FARE TUTTO QUELLO CHE MI HAI DETTO..E SPERO CHE L'AVVOCATO PROTEGGA SUBITO LA TUA POSIZIONE..MA SOPRATTUTTO SPERO CHE TU TRA POCHISSIMO SIA LIBERO DI ESSERE SOLO MIO...

VECIO ALPINO 2011-03-16 22:03:31 UTC...HAI RAGIONE QUANDO MI DICI CHE BASTAVA FARE LE VALIGIE E TUTTO FINISCE MA NON E' PROPRIO COSI I LEGALI SONO DEI PEZZI DI MERDA PER NON DIRE I GIUDICI O DI CHI HA FATTO QUESTO SCHIFO DI LEGGE DEL CAZZO CHE SONO TUTTE PER LA DONNA E NESSUNA PER L'UOMO....MI TOCCA DAGLI ANCHE ALTRI SOLDI CHE TU SAI CHE MI DOVEVANO ARRIVARE E CI SONO VISTO LA COMUNIONE DEI BENI CHE HO FATTO......IN PIU NON C'E' L'IMMEDIATEZZA DI ACCETTARLO DA PARETE SUA QUINDI DOVRA' PURE ACCUDIRLA FINO ALLA SEPARAZIONE SEMPRE SE POI LEI ACCETTEREBBE ALLORA HO ABBASSATO LA TESYA ED HO TROVATO UN ACCORDO CON LEI MOLTO PIU TRANQUILLO......

LUDOVICA 2011-03-16 22:07:55 UTCA ME NN ME NE FREGA NIENTE NE' DEI SOLDI NE' DEGLI ACCORDI NE' DELLA LEGGE CHE TU E IL TUO AVVOCATO NEMMENO CONOSCETE XKE' TU NN GLI DEVI UNA LIRA ED ORA CHE QUESTA SI TROVI UN LAVORO!!!!!!!O TU TE NE VAI DI CASA SUBITO O E' FINITA PER SEMPRE BASTA NN CI SONO ALTERNATIVE.

Quanto fosse tranquillo” l'accordo che Salvatore aveva potuto trovare con la moglie, si è -nel caso sia lui il colpevole- potuto ben vedere.
C'è dunque -per l'ennesima volta- da chiedersi cosa sarebbe accaduto se Salvatore Parolisi (nella ipotetica e indimostrata ipotesi che sia lui il colpevole) avesse “visto” davanti a sé un iter legale in cui la sua separazione da Melania non fosse stata così drammaticamente distruttiva della sua vita e delle sue possibilità di rifarsi un'esistenza dignitosa e autonoma.

C'è poi da chiedersi quale prospettiva aveva offerto la povera Melania al marito, quando -eventualmente- avevano parlato della loro separazione.
Sembra di intuirsi che le cose non fossero semplici, e che Melania accampasse pretese che Ludovica considerava ingenerose.
Vedasi, al proposito, quanto riportiamo da un articolo di Repubblica:


"... 
Melania mi umiliava - confida allo zio della donna Gennaro Rea che lo accompagna ad un interrogatorio, così come riportano le carte - mi aveva perdonato il tradimento con Ludovica ma non aveva dimenticato. Ludovica invece per me era la comprensione". In mezzo alle pressioni delle due donne ci sono le bugie raccontate a Ludovica per prendere tempo ("Sto trattando un accordo. Hai ragione quando mi dici che basta fare le valigie tutto finisce ma non è proprio così. I legali sono dei pezzi di merda per non dire dei giudici o di chi ha fatto questo schifo di leggi che sono tutte per la donna e nessuna per l'uomo...") e i sotterfugi adottati con la legittima consorte (il cellulare nascosto sotto la ruota di scorta dell'auto, i messaggi su Facebook sotto il nome di Vecio Alpino). 
È un uomo sull'orlo della crisi di nervi Parolisi. Un testimone che, come scrive il gip, "ha avuto modo di notare quasi tutti i pomeriggio intorno alle 17,30 del mese di marzo sino ai primi giorni di aprile 2011 una persona certamente identificabile con Salvatore Parolisi (ragazzo di circa 30 anni, in divisa mimetica, all'interno di una Megane Scenic nera) fermo in auto intento in lunghe conversazioni telefoniche di 30,40 minuti", in un'occasione lo vede "piangere come un bambino". Cerca comprensione da Ludovica che lo assedia affinché lasci la moglie e il 18 marzo le scrive: "Sono nervoso, come te la notte non dormo..."
Per il gip (come per il pm) l'inferno sentimentale che Parolisi sta vivendo tra marzo e aprile è all'origine del delitto che scrive: "Va comunque anche valutata e approfondita la possibilità di un'azione violenta omicidiaria improvvisa, non preceduta da specifico litigio, ma determinata dalla sedimentazione della inconciliabilità tra la storia con Ludovica e il perdurare del rapporto matrimoniale con Melania Rea...".
...  
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/07/21/news/parolisi_sfogo-19400224/ 
".  
Emblematiche dunque anche le parole del GIP sulla inconciliabilità in cui si trovava ormai Parolisi. 
E sul fatto che il giornalista (o anche i giudici?) definiscano "inferno sentimentale" quello che invece è un inferno tanto sentimentale quanto giudiziario - se lo pensiamo dalla parte di chi progetta un futuro (impossibile) attraverso una separazione "giudiziaria".

Dal nostro punto di vista, tutto questo non ha alcuna importanza per quanto riguarda l'eventuale – personale e penale- responsabilità di Parolisi, qualora se ne ravvisasse la colpevolezza.

Un punto però c'è da chiederselo.

I PM che lo hanno indicato come colpevole hanno detto che ha ucciso perché “finito in un imbuto”.
Una metafora estremamente efficace per indicare la percezione che ha una persona quando non ha più vie di uscita.

Però, allora, c'è da chiedersi come è stato costruito questo terribile “imbuto”.
E cosa ha generato a sua volta nel cervello di queste tre persone, e perché.
Soprattutto perché.

Perché l'”imbuto” di cui parlano i PM è un oggetto, ed è dunque semplice da “maneggiare”: nei discorsi, però.

Ma nella realtà quell'imbuto non è affatto un oggetto: è ben altro. E' una situazione generatasi per un concorso di tanti fattori.

E allora non ci sembra assurdo pretendere una riflessione su come si sia costruito, e che effetto ha fatto in chi se lo è visto davanti.


Anche perché ci domandiamo: le altre coppie -quelle che vogliono rifarsi una vita, e non vogliono esplodere in tragedie simili- che futuro vedono -e davvero hanno!- davanti a é?

I brani citati da Facebook sono stati presi dall'indirizzo:
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-0ce27825-fb25-4141-b56c-f1f9ff48558a.html?refresh_ce





dr. Gaetano GIORDANO

- Medico-chirurgo
- Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni
- Criminologo
- Psicoterapeuta