15 luglio 2012

Luisa Betti è a rischio? Si!
...Di giocare troppo con la verità


La dottoressa Luisa Betti non dice la verità: e non la dice giocando con le chiacchiere e le parole, e giocando bene.

Per la precisione, giocando come farebbe una brava, e bella, bambina, che vuol sembrare tanto assennata, ma tanto da diventare la prima della classe e, soprattutto, battere quei cattivoni dei maschi.

Gioca cioè sulla verità, e su quello che della verità dice, non dice, e fa credere di mostrare bene, e dunque di dimostrare altrettanto bene.

Gioca, cioè, esattamente come ci si aspetta che giochi una professionista intelligente, competente, preparata e bella, qual è lei (come si nota dalla foto posta ad inizio del testo).

Tutto ciò lo si scorge molto chiaramente leggendo il nuovo scritto che ha pubblicato sul suo blog de "il Manifesto", e intitolato “Quando chi scrive “è a rischio”: un post nel quale tenta di manipolare la verità di come siano andate le cose, approfittando del proprio ruolo di giornalista credibile di uno spazio giornalistico letto da non poche persone.

Se ne approfitta del proprio ruolo, insomma, tagliando gli interventi scomodi che non le piacciono e lasciando quelli che le fanno comodo, e inventando -per queste mossette da piccola censora- le spiegazioni che più le fanno comodo: tanto, come ammette lei stessa, può impedire alla gente di intervenire e dunque nessuno può sentire una voce contraria.

In sintesi, la dottoressa Betti utilizza il proprio ruolo di giornalista (che può gestire come vuole gli spazi a disposizione), tagliando quello che vuole e affermando quello che le piace, e che è credibile (credibile, ovviamente, soprattutto per chi è imbevuto dello stereotipo che chi parla da sinistra, e -soprattutto- è una donna, può dire solo e sempre la verità).

La dottoressa Betti avvia insomma un gioco che è quasi come quello delle tre carte: perché nasconde abilmente alcune notizie e informazioni, e altre le riunisce come se fosse un tutt'uno, e crea un quadretto mistificato e mistificatorio dei fatti di cui si lagna.

Ovviamente arrivando a confermare -e in fondo sacralizzare- la propria immagine di donna democratica, disponibile al dialogo e al confronto, intelligente, ma ovviamente aggredita e maltrattata, verbalmente ed ideologicamente, proprio dalle persone a cui lei -sic! Quanto buona e dolce è lei! Sic! Quante dolorosa è la vita!- cui lei, dicevamo, aveva dato tanto spazio e tanta disponibilità.

La solita favola insomma, della bambina buonissima, onesta e generosa, che viene maltrattato dal maschio cattivone: una favola, dunque, che persone vittime di ideologismi come quello da cui è affetta la dottoressa Betti, devono fissamente (e a volte sembra proprio: ossessivamente), riproporre, forse per garantirsi un proprio equilibrio personale, più che professionale.

Nello specifico, la dottoressa in questione ha riproposto in un articolo del blog de "Il Manifesto" i motivi della chiusura dello spazio di discussione che l'intrepida, coraggiosa, bella, competente, preparata, trasparente, onesta, eccetera eccetera eccetera giornalista, aveva dedicato alla trattazione del tema del "mobbing genitoriale" della PAS.

Ovviamente andando sin dal titolo a rimestare nel pentolone ideologico-statistico del "rischio" femminile.

Il quale pentolone ideologico-statistico, ISTAT docet, non distingue mai -nella “violenza contro la donna”- fra critica a come costei ha cucinato gli spaghetti e una decina di coltellate infertile dall'amante, magari lesbica (vedi al proposito articoli qui linkati).

La Betti rimesta dunque in questo ideo-minestrone, e solleva le solite ritualità linguistico-vittimologioche:
"
Pare non ci sia modo, per le donne," proclama la Betti “di discutere pubblicamente con serenità senza trovarsi oggetto di denigrazione e offesa da parte di chi non sa rinunciare all’idea della propria superiorità. E nel caso della Pas, chi ne parla “contro” è addirittura “a rischio”.

Laddove è falso proprio il primissimo assunto di questo Betti-pensiero, cioè quello in cui si accora perché alle donne è impossibile scrivere, e sono a rischio se lo fanno. Sppecie parlando di PAS.

Perché semmai è proprio lei -con la scusa di una vittimologia indimostrata e autoreferenziale- ad aver impedito agli uomini di scrivere quello che a lei non piaceva.

E per poterlo spiegare, e per poter spiegare come mai ha chiuso quello spazio per impedire appunto l'intervento di un uomo che diceva cose a cui lei evidentemente non sapeva replicare, la dottoressa è ricorsa ad una evidente mistificazione.

E ha spiegato di aver chiuso quello spazio nel suo blog perché non sopportava di essere stata aggredita su altri siti dalle stesse persone a cui lei aveva dato spazio nella sua discussione.

E questa è la prima vera e propria mistificazione, ed è una mistificazione a mio avviso molto grave.

La dottoressa Betti, infatti, nell'attribuire questa pretesa aggressione che sarebbe avvenuta su altri siti, non indica chiaramente chi ne siano gli autori, ma lascia credere che ad aver scritto l'articolo sia stato io.

Tecnicamente, ottiene tale effetto contando sul fatto che l'unico che polemizzava contro i concetti sostenuti da lei ero io, e che io ero poi l'unico cui potesse attribuire, in quel contesto, l'ipotesi che avessi scritto quell'articolo su Adiantum.

A prescindere dal fatto che quella nota su Adiantum.it contiene critiche forse dure ma sicuramente da discutere (vi si sostiene che se un blog si chiama “Prima le donne e le bambine” ignora i bambini vittima di violenza per un'operazione sessista), e che sono dunque critiche che solo una parte personalità gravemente antidemocratica e violentemente tesa a chiudersi ad ogni confronto può invece definire come aggressive e violente, vi è poi un dato ben dirimente sulla mistificazione operata dalla dr.ssa Betti.

Per chiarire la vicenda, avevo più volte cercato di pubblicare un post nel quale dichiaravo che non avevo alcun rapporto con Adiantum ed il suo sito, e che non avevo nulla a che fare con quell'articolo, che non era in alcun modo opera mia.

Pertanto, se la dottoressa Betti pensava di poter creare l'associazione fra “persona che scrive qua dentro”, e “dottor Giordano” per definire il “dottor Giordano” come un traditore che qui dialoga con me e su altri siti mi offende, si sbagliava di grosso.

Primo perché in quell'articolo non vi erano offese, ma -semmai- critiche, a cui la dottoressa Betti avrebbe fatto bene a rispondere (salvo dover denunciare che i dibattiti e le critiche corrette sono solo i suoi, a suo parere).

Secondo, perché con quell'articolo e quel sito io non c'entravo nulla.
E questa è la prima contraffazione e mistificazione: la dottoressa Betti si è ben guardata dal pubblicare la nota con la quale chiarivo che non ero affatto io l'autore di quell'articolo.

Evitava così, grandiosamente, di metter in crisi tutta la costruzione teorica dell'alibi con cui impediva la pubblicazione di notizie cui non voleva dar visibilità e a cui non sapeva rispondere

Alibi che poggiava sull'identità fra chi interveniva sul blog da lei tenuto (io), e chi aveva scritto l'articolo su Adiantum.

Questa dunque la prima contraffazione e mistificazione: la dottoressa Betti evitava di pubblicare la mia smentita, perché era per lei funzionale mantenere la confusione fra chi l'ha criticata esternamente al suo blog e chi invece portava avanti il confronto in quella sede.

In tal modo aveva l'alibi per non dover più pubblicare i miei interventi e, soprattutto, per rispondere alle domande che le facevo, e a cui probabilmente non sa -o non può- rispondere

La seconda mistificazione avviene sempre attraverso la censura dello stesso scritto nel quale chiarivo di non essere l'autore del testo pubblicato su Adiantum.

In quell'articolo, che cominciava comunque con il mio offrire tutta la mia solidarietà alla dottoressa Betti, le facevo -successivamente alla smentita relativa all'ipotesi che l'articolo su Adiantum l'avessi scritto io- una domanda abbastanza precisa su quello che poteva essere la natura vera di un certo femminismo.

La domanda partiva da un fatto constatabile da tutti: io stesso ero stato aggredito sul blog tenuto dalla dottoressa Betti, mi era stato dato dell'impostore, ero stato indicato come professionista che propaganda le idee di un impostore e di un difensore dei pedofili.

La dottoressa Betti non aveva però mosso nemmeno mezzo tasto per intervenire a difesa della mia professionalità e della mia correttezza.

Mi aveva lasciato insultare ed offendere senza in alcun modo intervenire, senza ritenere riprovevoli e contrari alle regole del corretto confronto quei termini usati, e via dicendo.

Quando poi lei era stata oggetto di critiche sul sito esterno, si era immediatamente cominciata a lamentare e, mi perdoni il termine, a frignare come una bambina cui hanno tolto dalla boccuccia la caramella.

Nel mio intervento le aveva fatto notare questa disparità di trattamento, le avevo chiesto se lo riconosceva, e le avevo chiesto se non fosse in questa differenza l'essenza di un certo femminismo: indicare immediatamente come vittima di "violenza" qualunque donna che fosse vittima di un confronto non gradito, e ignorare tranquillamente e senza alcuno scrupolo quando violenze molto peggiori vengono operate su uomini , e soprattutto di uomini che dicono cose sgradite alle donne belle, intelligenti, competenti, trasparenti, preparate, bravissime, qual è la dottoressa in questione.

La dottoressa Betti non ha pubblicato in alcun modo questo mio intervento.
Lo ha censurato senza alcun scrupolo, e così facendo mi ha impedito due cose:
1) chiarire che non ero io l'autore dell'articolo dal quale lei si sentiva offesa e aggredita, e che dunque non era assolutamente giustificato il suo tentativo mistificante di creare una relazione fra chi aveva scritto quell'articolo e me, facendo credere (e, peggio ancora, senza tuttavia dirlo ma senza nemmeno lasciarmelo smentire) che fossi io l'autore dell'articolo Adiantum.
2) esprimere un sacrosanto parere su quella che a me sembra una modalità di fondo del femminismo, cioè l'equazione “la donna è sempre vittima – l'uomo è sempre colpevole”, col quale la dottgoressa Betti poteva confrontarsi e, se trovava argomenti, rispondere.


In sintesi la dottoressa Betti mi ha impedito sia di rettificare una notizia e dire la mia verità su qualcosa che lei affermava o, meglio, faceva credere dal suo blog relativamente a me, e mi ha poi impedito di esprimere un'opinione che poteva essere abbastanza funzionale a descrivere certe filosofie femministe

Ovviamente, ha continuato così com'è capace di continuare: ha cioè aperto un altro post sul blog de "il Manifesto", e ha spiegato che non poteva continuare la discussione sul MOBBING di genitoriale e sulla PAS perché della gente aveva scritto delle cose molto brutte contro di lei ed era la stessa gente che poi partecipava al confronto su blocca.

Il che è falso, come sopra dimostrato.

Il nuovo post scritto dalla dr.ssa Betti, e tutto il suo precedente comportamento, dimostrano con ben chiara evidenza come l'operato della dottoressa Betti sia consistito fondamentalmente nel tappare la bocca a chi dice cose sgradite utilizzando mistificazioni e censure verso chi puntualizzava dati precisi e poneva domande troppo impegnative.

Il tutto approfittando di poter manovrare una certa porzione di mass media. 

Complimenti alla democraticità femminile e rosea!


Biblio




Post Scriptum:
A scanso di equivoci e confusioni, è chiaro che qualora e quando la dr.ssa Luisa Betti volesse pubblicare qui una sua risposta in proposito, avrà tutto la spazio che chiederà