30 giugno 2012

Finalmente! Un PM, donna, che usa le accuse per cercare la verità


Il PM Carmen Pugliese ci racconta qualcosa sulle false accuse.
E, forse senza volerlo, si lascia scappare anche (vedasi a partire dal 30 sec., poche frasi) come ad un convegno, pochi giorni prima, le hanno tolto la parola perché aveva detto qualcosa di poco gradito alle donne.
Ascoltare per credere: finalmente un PM che si occupa di accuse per cercare la verità.






 

18 giugno 2012

La Donna sta tornando segregata al Medioevo.
E ce la stanno trascinando la Mamma ...e qualche avvocatessa femminista


È un articolo che già solo a leggerne il titolo si autodenuncia come un articolo denso di mistificazioni di dati e, soprattutto, di ignoranza.
Ignoranza -non si offenda l'articolista- non personale, ma di quelle elementari conoscenze tecniche e scientifiche relative al tema della violenza in famiglia, fenomeno estremamente complesso nelle sue connotazioni profonde e nelle problematiche che lo costituiscono.
Perché è un articolo che già solo a leggerne il titolo, “Donne e bambini vittime di violenza - "Una norma che non tutela madri e figli"” 
(clicca qui per leggerlo sul suo sito) sembra voler spingere ad una vera e propria criminalizzazione di genere, una di quelle cose di cui non c'è proprio bisogno, e che indica nello stereotipo del maschio violento l'unico autore di violenze intrafamiliari e nelle donne e nei bambini le sole vittime della stessa.
Una immagine falsa, fuorviante, mistificante.
Che, fra l'altro, fa torto, come vedremo, proprio a molte donne vittime di violenza all'interno della loro coppia e già fin troppo emarginate dalla accettabilità sociale.
Una immagine propinata dunque ai lettori con buona pace di tutte le statistiche, quelle serie e scientifiche intendiamo, che indicano come la violenza intrafamiliare sia un fenomeno appannaggio di entrambi i sessi, un fenomeno bidirezionale, come hanno scritto in tanti: Juan Alvarez Deca, in “La violencia en la pareja: bidireccional y simetrica”, scritto che raccoglie 230 studi longitudinali, dimostrando dettagliatamente ciò che sintetizza nel titolo: il postulato che all’interno della coppia la violenza sia unidirezionale è una mistificazione figlia del pregiudizio, dell’informazione pilotata, del condizionamento della coscienza collettiva in atto da decenni. Come dimostra Eugenio Pelizzari in “La violenza femminile – Cos'è, come se ne parla” (http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/pelizzari.pdf), o come sostengono anche Richard Gelles, oppure Rose A. Medeiros e Murray A. Straus (in " RISK FACTORS FOR PHYSICAL VIOLENCE BETWEEN DATING PARTNERS: IMPLICATIONS FOR GENDER-INCLUSIVE PREVENTION AND TREATMENT* OF FAMILY VIOLENCE).
O come afferma senza mezzi termini Wendy McElroy, che certo maschilista non è - definendosi femminista e libertaria, e grande nemica ideologica del concetto che la violenza è solo del maschio.
E come, ancora, dichiara anche Erin Pizzey, attivista inglese proprio rispetto alle violenze familiari, ben conosciuta per i suoi lavoro e le sue iniziative sul tema della violenza domestica e -soprattutto- per aver aperto il primo rifugio del Regno Unito per donne vittime di violenza domestica, nel 1971.
Femminista di primissimo conio, dunque, che però ha condannato decisamente proprio la svolta politica presa dal movimento femminista, sostenendo nel suo libro "Uomini o donne: chi sono le vittime?": che « Il movimento femminista ovunque ha distorto il problema della violenza domestica per i propri fini politici e per riempirsi i portafogli. [...] Osservai le femministe costruire le loro fortezze di odio contro gli uomini, dove insegnavano alle donne che tutti gli uomini erano stupratori e bastardi. Testimoniai il danno fatto ai bambini in tali rifugi » (Erin Pizzey)
Ricorderemo dunque come nel suo "Studio Comparativo delle Donne Picchiate e Donne Inclini alla Violenza" è proprio la Pizzey a distinguere fra le "vere donne picchiate" e le "donne inclini alla violenza": le prime sono definite "vittime involontarie ed innocenti della violenza del partner" e le seconde, invece, come "involontarie vittime della loro propria violenza".
Secondo tale studio, il 62% delle donne analizzate erano più accuratamente descritte come "inclini alla violenza".
Tali risultati, peraltro, sono stati confermati da altri e successivi studi , come quello di Martin S. Fiebert, della California State University, oppure quello di Malcolm J. George (Queen Mary e Westfield College di Londra.)


Occorre poi dire che, per quanto riguarda le violenze domestiche sui minori il Ministero della
Salute statunitense ha di recente pubblicato i risultati di una ricerca sul maltrattamento sui minori in ambito famigliare, relativamente agli anni che vanno dal 2002 al 2006.
Le statistiche del U.S. Department of Health & Human Services, dimostrano che le madri sono state le uniche responsabili di violenza sui minori in circa il 40% dei casi contro il circa 18% per i padri (U.S. Department of Health & Human Services, Administration for Children and Families, Administration on Children, Youth and Families, Children’s Bureau, "Child Maltreatment 2006", http://www.acf.hhs.gov/programs/cb/pubs/cm06/cm06.pdf).
Per quanto riguarda la prassi delle false denunce di violenza in corso di separazione conflittuale, come pratica mobbizzante, occorre rilevare come tale prassi affondi molto probabilmente le proprie radici nell'assunto che i comportamenti violenti sono tipicamente maschili, e che la donna ne è esente. Parallelamente, è facile appunto che in una coppia eterosessuale in separazione si abbia, come pratica di vendetta o – soprattutto - di mobbizzazione, la falsa denuncia per violenza. Parallelamente, si tende a ignorare come la violenza sia un dato presente anche nella coppia omosessuale, con la differenza che non riguarda la separazione e lo scioglimento della coppia, ma è praticata soprattutto in costanza di legame.


Tra le donne vittime di violenza vanno invece incluse le lesbiche vittime della violenza della coppia lesbica, e al proposito basta dare un'occhiata a quel che dice nel suo “Lesboblog” (http://www.lesboblog.it/blog/2009/07/27/violenza-e-abuso-nelle-coppie-lesbiche/) Marilena Vittorello.
Nessun Centro Antiviolenza, però, e nessuna associazione femminista dedita a tutelare le donne dalla violenza familiare, indica mai la violenza della coppia lesbica come problema né offre mai aiuto a lesbiche maltrattate e abusate dalle compagne.


Tutto questo dovrebbe dunque riuscire a riconfigurare l'assunto stereotipizzato secondo cui la donna partner sia incapace di violenza: “A differenza di quanto accade per le relazioni eterosessuali, il problema della violenza domestica è ancora ampiamente sottovalutato nella comunità omosessuale. Le statistiche relative al problema della violenza domestica nelle coppie formate da partner dello stesso sesso sono ovviamente difficili da reperire, sebbene alcuni autori (Berger, 1990; Bell & Weinberg, 1978) ipotizzino che l’incidenza di episodi di violenza domestica possa essere maggiore in queste che nelle coppie eterosessuali, a causa di ‘stressors’ peculiari, come la mancanza di supporto da parte delle famiglie di origine o lo stress dovuto al ‘nascondersi’. Relf (2002), che ha condotto la più sistematica indagine sull’argomento, afferma che, tra gli uomini coinvolti in una relazione omosessuale, uno su cinque subisce violenza dal partner. ...” (Paola Paletti, Un’arma potente: HIV e dinamiche violente nelle coppie gay e lesbiche,
http://www.salutegay.it/pazienti/dati_e_ricerche/questioni_critiche/violenza_domestica.htm).


Come riportato da altri siti: "A Toronto è attivo un Centro di Consulenza per le lesbiche e i gay. I consulenti di questo Centro, non senza sorpresa, hanno cominciato a ricevere un numero sempre maggiore di donne che denunciavano casi di violenza, sperimentati all'interno delle loro relazioni omosessuali, tanto che si è reso necessario costituire dei gruppi di sostegno per lesbiche abusate dalle loro partner.
Il Centro, per valutare l'entità del problema, ha distribuito 550 questionari a donne lesbiche, ottenendo 189 risposte. Le domande riguardavano eventuali maltrattamenti subiti all'interno della relazione lesbica, i tipi di violenza a cui le donne erano state esposte, le reazioni della comunità, i servizi ai quali esse avevano potuto accedere, ecc. Questa indagine, che tuttavia non riguarda un campione rappresentativo della popolazione, ha rilevato che il 30% dei soggetti intervistati ritiene che l'omofobia e isolamento sociale nel quale le coppie lesbiche vivono, siano fattori capaci di alimentare la violenza domestica. Ad esempio, paura e rabbia possono essere indirizzate a torto nei confronti di una partner che può rappresentare alcuni aspetti misogini della cultura eterosessuale. Anche le donne infatti possono essere cresciute in famiglie maltrattanti, con modelli genitoriali violenti ed anche le donne possono avere delle concezioni razziste nei confronti di altre donne o avere sete di potere così come il desiderio di una posizione dominante nella loro relazione di coppia.
Esempi di violenza e di abuso segnalati dal Centro di Toronto sulla violenza domestica nella coppia lesbica: pestaggi, punzonatura, calci, schiaffi, strangolamento, morsi, ustioni, spinte, lancio di oggetti, limitazione del cibo o del sonno, limitazione della libertà della partner o della mobilità, nel caso di una partner disabile; controllo finanziario, furto di denaro, distruzione di beni o effetti personali. Maltrattamenti psicologici riportati: critiche eccessive e ripetute, umiliazione e atti di sfida, insulti, espressioni di disprezzo, maltrattamento di animali domestici, ecc. Esistono poi degli abusi sessuali veri e propri: rapporti sessuali forzati, aggressioni sessuali,
ecc.
L'indagine del Centro di Toronto rileva che il 66% delle donne (125 su 189 intervistate) ha sentito parlare di lesbiche abusate dalla loro partner e che 37 soggetti, fra i 189 intervistati, ritiene di aver subito abusi dalla propria compagna, soprattutto di tipo psicologico. Tra i casi in esame, 20 hanno riferito abusi fisici e psicologici e 4 hanno subito aggressioni a sfondo sessuale nella coppia" (Paola Paletti, Un’arma potente: HIV e dinamiche violente nelle coppie gay e lesbiche,
http://www.salutegay.it/pazienti/dati_e_ricerche/questioni_critiche/violenza_domestica.htm).


Infine, autori americani sostengono che la violenza è presenza nel 30%-40% delle coppie omosessuali, e comunque nella stessa percentuale delle coppie eterosessuali (Walter La Gatta,La coppia lesbica, http://www.psicolinea.it/d_e/coppia_lesbica.htm).
Non risulta però che siano attivati presidi o centri per la gestione del fenomeno, per lo stesso non si ha alcun allarme sociale, e molto probabilmente non vi sono che rarissime denunce in proposito alla Autorità Giudiziaria.


E -soprattutto - non vi è nessun Centro Antiviolenza e nessuna organizzazione femminista denunciano mai la violenza compiuta da donne su donne né -tanto meno- pubblicizzano i propri centri come centri cui possono ricorrere le donne vittime di violenza da parte di altre donne.


Lo strombazzamento è solo e soltanto contro gli uomini violenti: come se le vittime delle donne non avessero diritto a tutela o, semplicemente, a campagne di promozione sociale dei loro problemi


Il che, scusateci, non è solo ridicolo: è soprattutto vergognoso.

L'articolo in questione non solo è dunque gravemente disinformato e disinformante, ma è pure lesivo dei diritti di una parte di donne ad essere considerate vittime di violenza.


D'altra parte, lo stesso articolo evidenzia chiaramente una presa di posizione quasi curiosa: perché -in ciò seguito da non poche avvocatesse legate ai centri antiviolenza- osteggia l'approvazione di due DDL (DDL n. 957 r DDL n. 2800) solo perché imporrebbero la mediazione in caso di partner violenti e perché introdurrebbero il riconoscimento della PAS (Sindrome di alienazione parentale), utilizzata a sostegno di queste nuove norme.
Le obiezioni alla prassi della Mediazione -evidentemente fortemente temuta da chi ha in mano da sempre l'arma dell'affidamento del minore (o della sua “collocazione” in casa)- sono risibili.
E' evidente che chi fino ad ora (e non stiamo indicando alcun soggetto specifico, ma solo una controparte ideologia) ha potuto prendere -in un modo o nell'altro- le parti del vincente designato (la madre), ha tutto da temere dalla Mediazione obbligatoria, in quanto viene meno la possibilità di utilizzare la coabitazione con il minore come strumento di violenza e ricatto verso l'altro genitore, il padre, che ormai da decenni deve subire in tal senso vessazioni e violenze inenarrabili.
La mediazione obbligata prima dell'inizio del procedimento giudiziario tende a smussare quest'arma, ed è chiaro che alla sua introduzione corrisponda una levata di scudi da parte di chi della gestione quotidiana del figlio faceva un'arma scandalosa, riparandosi dietro il concetto di “violenza” (se non dietro le false denunce) per coercire la volontà dell'altro o per agire vendette ignobili.
Che la Mediazione faciliti il vero violento, è argomento che fa ridere: il Giudice non sa accertare la verità, non sa predisporre strumenti di tutela anche in casi seguiti in Mediazione?
Ci troviamo di fronte a qualcuno che vuole insinuare che è anticostituzionale addirittura l'eguaglianza fra uomo e donna? E che il giudizio sulla violenza in famiglia deve essere dato prima che un giudice si pronunci sullo stesso o su fatti e situazioni ad esso collegati?
Perché -di fatto- il senso di questo voler negare la mediazione in caso di denunce di violenza presentate da donne contro i propri ex partner, solamente questo può alla fine voler significare: disporre per legge una diversità di trattamento tra i due sessi e collocare nelle mani della donna -rectius: del suo legale- l'atto del giudizio.


La stessa forza logica hanno le argomentazioni ANTI-PAS.


Ecco quanto ci dice Monica Pasquino, della Associazione SCOSSE, www.scosse.org
In Senato è  cominciata la discussione sul Disegno di Legge 957 (del 2008), proposto da PDL  e UDC, che propone «Modifiche al Codice civile e al Codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso».
Partendo da premesse in buona parte condivisibili, il ddl prende poi una direzione totalmente inaccettabile, dichiarando che per tutelare labigenitorialità e l’interesse del minore è necessario «porre fine a quei frequenti tentativi di manipolazione da parte di un genitore – di regola quello che ha maggiori spazi di convivenza – miranti ad eliminare completamente l’altro dalla vita del figlio/a, inducendo in essi il rifiuto di ogni contatto, un malessere indotto che va sotto il nome di Sindrome di alienazione genitoriale (PAS)».
All’art. 9del ddl si propone quindi la modificazione dell’all’articolo 709-iter del Codice di Procedura Penale con la seguente integrazione, dopo il secondo comma:«Il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato alrifiuto dell’altro genitore attivando la Sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l’esclusione dall’affidamento».
Cos’è la PAS? É la prima volta che fa capolino nella normativa italiana e non per arrettratezza culturale, una volta tanto, ma perché la PAS è priva di ogni fondamento scientifico,non è riconosciuta come disturbo psicopatologico dalla comunità scientifica internazionale e non  è inclusa nell’attuale DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dell’Associazione Psichiatrica Americana, APA).
La PAS è stata originariamente proposta da Richard Gardner nel 1985 per individuare un disturbo che insorgerebbe nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiverebbe una campagna di denigrazione contro l’altro genitore (alienato).Secondo la teoria dello studioso, il genitore che ha un contatto più stretto con il bambino (la madre) metterebbe in atto una specie di “lavaggio del cervello” che porterebbe il figlio a esibire rancore, disinteresse o disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (il padre).
Se passasse il ddl 957, nei casi in cui un bambino/a rifiutasse il padre perchè ha assistito a casi di violenza domestica, il padre potrebbe appellarsi alla PAS, obiettando che il deficit affettivo del figlio/a è frutto della manipolazione materna.
Pur non ignorando la necessità di valutare con grande attenzione la dimensione complessa e contraddittoria dei conflitti familiari che coinvolgono i minori, da anni i centri antiviolenza e molte associazioni di donne hanno preso posizione contro la PAS.
La pericolosità e il carattere esplicitamente reazionario e strumentale di questa Sindrome è già evidente nelle aule dei tribunali statunitensi, dove si ricorre alla PAS per minimizzare (o occultare) il fenomeno della violenza maschile contro le donne, derubricandolo a espressione della normale conflittualità di coppia o, peggio, colpevolizzando le vittime.”
La risibilità ascientifica e antigiuridica di tali argomentazioni è evidente già ad una loro primissima lettura.
Dove può mai essere, ad esempio, il carattere “ esplicitamente reazionario e strumentale” di una Sindrome la cui descrizione non prevede alcuna differenza sessista, al punto che si parla solo e comunque di “genitore alienante”?.
E' ben evidente che una siffatta critica denuncia solo il timore che l'uso della PAS nel corso del procedimento di affido dei minori può generare in chi è davvero avvezzo a manipolare i figli come vuole, contando sulla impunità del proprio ruolo: “Se passasse il ddl 957, nei casi in cui un bambino/a rifiutasse il padre perchè ha assistito a casi di violenza domestica, il padre potrebbe appellarsi alla PAS, obiettando che il deficit affettivo del figlio/a è frutto della manipolazione materna.”
Vero. Ma anche il criminale che ha organizzato la strage può sempre appellarsi alla schizofrenia per cercare di farsi dichiarare incapace di intendere e volere. Però nessuno si sogna di richiedere l'abolizione della schizofrenia perché può essere utilizzata come esimente dalla imputabilità!

D'altra parte, sarà il consulente del giudice a valutare l'esistenza o meno di una PAS e sarà il giudice a statuire la fondatezza o meno delle accuse: ritorna allora qui un tema di fondo. Un tema che tutto include in sé.

La Mamma. O, se vogliamo (e con riferimento esclusivamente psico-archetipale e ideologico), la Mammasantissima.

La Mamma (o la Mammasantissima) intese come categoria del comportamento e, soprattutto, dello psichismo profondo, la Mamma (o la Mammasantissima) che non accettano nemmeno in ipotesi l'idea essere costrette prima o poi a sottoporsi ad un giudizio terzo e superiore.

La Mamma e la Mammasantissima di “Extra Ecclesiam nulla salus

La Mamma (o la Mammasantissima) che sono indiscutibili per Legge e per Ideologia, e dunque non devono mai essere messe in discussione.

La Santa Vergine, Madre e Martire

Perché l'assurdo di questa tipologia di critiche è proprio che tutte riportano -cioè: nascono- da quei valori medievali che fanno della Donna in quanto essere sessuato e individuale, solo una Madre che è tale senza relazione col Maschile (dunque asessuata, come vedremo), dunque è Vergine, Santa, e Martire.

Quattro termini che sintetizzano molto bene tutto quello che questa prospettiva "femminista" attribuisce come valori e come status socio-antropologico alla Donna di .

Non a caso, infatti, tutte queste critiche e queste prospettive cercano di annullare ogni logica di parità fra “uomo” e “donna”,  e questo a partire dalla falsificazione o mistificazione degli studi in materia di violenza familiare e del ruolo della violenza nelle coppie uomo etero- ed omo- sessuali, per finire alla volontà di negare l'utilizzo paritario, in caso di contenzioso legale, di identici strumenti normativi e concettuali.

Anche il rifiuto della Mediazione va infatti in questo senso, dal momento che è evidente come -stando alle critiche che vengono portate avanti- dovrebbe bastare la sola accusa di una ex partner per impedire la Mediazione. Il che equivale ad affermare l'autoreferenzialità del conflitto come strumento di gestione del conflitto.

Detto in altri termini, è evidente che si vuol fare in modo che chi ha interesse ad agire il conflitto non sia subordinato ad una logica mediativa, ma possa schiacciare la logica della ricerca di mediazione (l'unica da cui il minore può trarre beneficio) proprio agendo il conflitto invece di sedarlo.

Ciò, come detto, lascia intravedere al fondo l'emergere di una logica: il trionfo non della Donna in quanto genere di sesso femminile, ma della Madre, elemento Archetipico che qui ritorna travestita da difensore del Femminile ma che -come l'ignorare completamente le violenze subite dalle donne lesbiche dimostra- punta al trionfo della Grande Madre divoratrice: laddove, ovviamente, il riferimento è alla polarità negativa dell'archetipo jungiano.

Da questo punto di vista siamo in realtà in presenza di un riemergere perverso e negativo della Mitologia della Vergine e Madre, come anche la manipolazione degli studi sulla violenza familiare indicano.
L'accezione "riemergere perverso e negativo" merita un rigo di spiegazione.

Ci riferiamo al fatto che questo integralismo "femministico"  nega come tali proprio quei valori che fa riemergere (vale a dire una visione della Donna sempre Santa, Madre, Vergine e Martire), ma li riafferma distruttivamente attraverso la demonizzazione del Maschio.
Il ruolo assunto da questi (violento, prevaricatore, inutile) fa sì che le caratteristiche Medievali della Donna (che deve cioè essere solo Santa, solo Madre, solo Martire e Vergine), ritornino come risultato della presenza di un Maschio così negativo e non come affermazione di valori attribuiti esplicitamente alla donna in quanto tale.
La (paranoidea) perversione del Maschile rende così attuale e non criticabile la riproposizione di un Femminile assolutamente identico per ruolo e status a quello del Femminile Medievale.

E tutto questo con buona pace dei centri femministi che sponsorizzano questi studi e queste critiche alla PAS, al “condiviso”, ai DDL a venire e via di seguito.
Non a caso, infatti, e ritorniamo adesso all'articolo in questione, quello da cui siamo partiti per questa disquisizione sul ritorno della Grande Madre, o meglio, della Vergine e Madre intesa nella sua Ombra divorante (sempre con riferimento alla terminologia junghiana).
L'articolo in questione, quello di Repubblica, sponsorizza fortemente una onlus, la Pangea Onlus.
Di questa Onlus ci siamo andati a guardare il sito: e la sua presentazione ci ha stupito.
Ci ha stupito per quanto fosse coerente -e grandemente espressiva- di tutta la filosofia dell'articolo, del suo contenuto, e del contenuto delle idee che propaganda. E di quello che stiamo qui sostenendo.
E cioè che questa -ormai ultradecennale- ondata ideopsicologica sul ruolo del “maschio” e della “donna” esprime il ritorno negativa dei valori della Vergine e Madre come modello di femminilità.
"La vita ricomincia sempre da una donna", si dice infatti nella Home Page di questa Onlus ispiratrice dell'articolo, la Pangea Onlus.
Ma questo non è vero, e c'è un grave e voluto errore, in questo slogan, e, secondo noi (ma -ahimè!- secondo la biologia tutta) soprattutto c'è una voluta deformazione.
Meglio: una grave mistificazione.
Perché è evidente che la vita non ricomincia affatto, se c'è solo una donna.
Anzi: se è per questo, in realtà la vita finisce, se la donna è sola, e se c'è solo una donna a pretendere di farla ricominciare da sola.
Perché, la vita se ne frega degli individui soli ed isolati, e li lascia morire. E non permette che il loro DNA si replichi se non in presenza di un Altro.
Perché la vita non è solitudine e non è isolamento -affettivo, come ideologico o razziale- ma è relazione.
E da una donna sola la vita, dunque, non farebbe ricominciare proprio un bel niente.
E allora è inutile e mistificatorio giocare con queste metafore, e far credere che attraverso un falso si possa esprimere un vero.
Affinché la vita ricominci, c'è bisogno di un uomo e di una donna.
Ma c'è bisogno, soprattutto e di più, della loro relazione.
Perché è solo dalla relazione che nasce la vita: e la vita è solo relazione ed è solo nella relazione che c'è vita.
L'acqua, l'aria, la terra, il mondo, la vita, tutto nasce da una relazione e da relazioni fra relazioni.
Il resto è propaganda.

Propaganda di valori Medievali, fra l'altro.

Non ci stupisce dunque che tutta la posizione di questa onlus, una cooperativa che in Italia riceve fondi pubblici occupandosi di violenza alle donne e ai bambini, soffra di questo vizio di fondo.
Far credere che la donna -la Mamma, anzi- basti a tutto.
Siamo mediterranei, e siamo nella terra dell'archetipo della Gran Madre.
Non a caso siamo la terra della Santa Madre Chiesa, non a caso siamo la terra dei figli di mamma e, piaccia o no, non a caso siamo la terra della Mammasantissima.
Perché -appunto- non è un caso che i mafiosi chiamino la mafia “Mammasantissima”, così come non è un caso che i figli vadano sempre alla Mamma.
E così non ci sembra affatto strano che questa onlus riesca a dire che per far ricominciare la vita basta una Madre Vergine (perché in assenza di una relazione con l'uomo...).
Una distorsione che, a nostro avviso, è già indicata nel nome: Pangea, appunto.
Ci scusino le valide e capaci professioniste che hanno creato questo nome e/o lavorano per esso.
Non vogliamo affatto offenderLe o peggio, screditarle.
Però non ci sembra affatto strano che la stessa organizzazione che presenta la Vita come solo frutto di una sola donna (e di una donna sola), si chiami poi “Pangea”.
Cosa è “Pangea”, infatti?
Pangea era l'ammasso indistinto della massa terrestre prima della separazione in cinque continenti.
Pangea è dunque la terra fusionale, il mondo dell'indiviso e dell'indistinto affollarsi di continenti.
Il mondo uroborico, nel quale il feto è non-individuo, non-cosciente e non autonomo e non-capace di viversi e percepirsi separato dalla Madre.
Un mondo primordiale, fetale o prefetale addirittura, nel quale identità e diversità sono pensieri alieni e in-concepibili: perché Pangea è il Tutto che ingloba Tutto. E non ammette differenze.
Ma la vita è proprio l'opposto: è relazione fra contrari, è relazione fra diversità, è relazione fra individui.
Pangea conosce solo sé stessa e vive solo di sé stessa. E' la Madre che toglie coscienza e annienta la relazione con l'Altro, col diverso. Non a caso la “Pangea Onlus” proclama poi che la vita ricomincia da una donna.
E' falso. La vita ricomincia solo da una donna e da un uomo insieme.
Non ci stupisce dunque che l'articolo che “megafona” (ce lo consente l'autrice? O si irrita ricordandosi -e ricordandoci- che “Extra ecclesiam nulla salus”?) non ci stupisce dunque che l'articolo pubblicato su Repubblica, a firma di Valeria Pini, ottima giornalista sicuramente, si intitoli appunto “Donne e bambini vittime di violenza - "Una norma che non tutela madri e figli"” e sia portavoce di tutta questa mistificazione sulle caratteristiche di genere (Uomo = Violenza, Donna=Vittima) e sull'annullamento di ogni parità anche giudiziaria in proposito.
Un articolo per il quale abbiamo dato ai nostri legali -lo diciamo subito- l'incarico di valutare se contenga gli estremi dell'incitamento all'odio razziale.
A quanto detto precedentemente sulla PAS , aggiungiamo un altro punto. Sul fatto che la PAS non dovrebbe essere presa in considerazione perché non ancora entrata nel DSM IV.
Strana che questa critica venga da posizioni, per così dire, di sinistra.
Tutti sanno che la presenza nel DSM è vincolata a logiche spesso commerciali, come vedremo.
A parte ciò, nel DSM IV -ad esempio- non si parla nemmeno di "bullismo, né di "mobbing" né di "stalking.
Ma non per questo l'attuale nosografia psichiatrica ignora le vittime del "bullismo", o del "mobbing", o dello"stalking.
Come se poi non si sapesse che l'inserimento di una patologia nel DSM è frutto sia di prospettive culturali in vigore (basti pensare all'omosessualità, considerata patologia fino al DSM II), sia della presenza dell'industria farmaceutica (se una patologia è riconosciuta come tale, è possibile prescrivere un farmaco, e si ha dunque un motivo in più per vendere quel farmaco: la PAS no n ha farmaci e dunque non ha sponsor...).
Il comportamento di rifiuto immotivato da parte di un figlio contro uno dei genitori è in realtà un gravissimo problema, e di questo problema bisogna occuparsene.
Lo si può dunque chiamare come volete: "Sindrome del figlio di Medea", se volete. O anche "Bullismo Genitoriale". O "collusione genitore-figlio".
Ma il problema c'è -e le statistiche ne sono piene.
Il sottinteso è chiaro: se il figlio non vuole avere a che fare col padre, la colpa è del padre, sicuramente un violento o comunque un indesiderabile.
Da rifiutare, dunque.
Una posizione che genera solo malattia, questa, perché ignora -e questo è gravissimo- tutto ciò che ci dice la psichiatria della famiglia in proposito.
C'è una sintesi, da fare, dietro a tutto questo.
Di fatto (e ci smentisca l'autrice dell'articolo e/o le responsabili di Pangea, portando validi argomenti), la posizione espressa da questo articolo è una posizione in tutto e per tutto simile a quelle di ogni razzismo: che identifica tutto il male e tutta la violenza in una sola categoria umana o antropologica.
Gli Ebrei, i Negri, gli Zingari e, oggi, il Maschio.
O ci sbagliamo, e non è vero che l'articolo in questione -e la levata di scudi di Pangea contro la nuova legge, levata di scudi a ipotetica difesa di donne e bambini (ma i bambini amputati del padre non sono anch'essi vittima di violenza?)- è una levata di scudi che identifica solo il Maschio come autore della violenza in famiglia (salvo... rarissime eccezioni, ovvio!), e la violenza come appannaggio del solo genere maschile.
Perché, e qui viene secondo noi il bello, questa posizione che identifica la donna come solo vittima di violenza insieme ai propri figli, e mai incapace di male verso l'uomo, è il riciclaggio al moderno-femminista di una posizione medievale.
Una posizione terribilmente oppressiva proprio del ruolo femminile, che -si noti- ha un nemico: il Maschio, violento per definizione.
Ma non ha diritto a difese se la violenza nasce dalla donna: come il perenne e irrevocabile insabbiamento della violenza lesbica -donna su donna- dimostra.
Perché è solo e soltanto la stessa posizione secondo cui (ed è strano che le compagne non se ne rendano conto) la Donna è solo Santa, solo Martire, solo Vergine e Madre.
Dal momento che -come dice la Pangea Onlus- genera la vita senza rapporti col maschio.
D'altra parte, come negare la fortissima vicinanza ai valori medievali della Santa Madre Chiesa, dal momento che...

...sono tutte Sante (nessuna ha mai una colpa);


...sono tutte Madri Perfette (non devono sottostare a procedimenti di accertamento giudiziario né a mediazione col partner, e devono poter gestire a loro pieno piacimento il figlio)


...sono tutte Martiri del Maschio Violento)


sono tutte Vergini: danno la vita senza bisogno del maschio


Sissignori, è proprio tornato il Medioevo...
...e non se ne sono nemmeno accorte.


GAETANO GIORDANO